I punti chiaveL’identikit della nuova strutturaLe prestazioni garantite nelle Case di comunitàIl nuovo ruolo dei medici di famigliaAscolta la versione audio dell'articolo
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Sono il cuore della nuova Sanità del territorio, quella che è mancata di più nei mesi più drammatici della pandemia quando servivano cure più vicine ai cittadini. Sono le Case di comunità e ne sorgeranno 1.350 in tutta Italia grazie ai 2 miliardi che ci investe il Pnrr. In queste strutture lavoreranno medici di famiglia e pediatri, infermieri, altri specialisti, tecnici della riabilitazione, assistenti sociali: qui i cittadini troveranno le prime cure – visite, analisi, prima diagnostica, vaccini e screening – evitando di affollare inutilmente pronto ausilio e ospedali. Già alcune Regioni hanno aperto le prime Case di comunità e altre ne sorgeranno già il prossimo anno per arrivare entro il 2026 a quota 1.350.
L’identikit della nuova struttura
La Casa di comunità è una struttura fisica – diverse Regioni puntano a ristrutturare immobili dismessi o inutilizzati – e quella cosiddetta «hub» ( prevista una ogni 40-50mila abitanti) sarà aperta 24 ore al ventiquattrore sette giorni su sette unitamente l’attività di ambulatorio classica prevista sei giorni su sette per 12 ore e i servizi di unitamentetinuità assistenziale anche nell’orario notturno, domeniche e festivi compresi. Nelle Case di comunità lavoreranno i medici di famiglia e i pediatri – almeno 30-35 camici bianchi – che qui potranno svolgere parte del loro orario o direttamente gestire il loro ambulatorio all’interno della Casa di comunità. Fondamentale sarà l’apporto degli infermieri (ne sono previsti da 7 a 11 in ogni struttura), ma in pianta stabile è previsto anche un assistente sociale e 5-8 unità di personale di supporto socio-sanitario e amministrativo. Potranno lavorarci anche altri operatori sanitari: dagli psicologi ai riabilitatori fino agli ostetrici.
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